La fantasia al potere, la storia di Josh Perkins, nuovo regista della Happy Casa Brindisi

Settecentododici: un numero impresso nella vita di JP. 712 come gli assist forniti nella sua carriera da atleta di Gonzaga University. Miglior assistman nella storia dei Bulldogs, un’etichetta importante, a volte ingombrante, ma certamente iconica per la storia di un ragazzo dal talento indiscutibile con un percorso tutto da raccontare.

La pallacanestro è sempre stata nel suo DNA. Figlio di Randy, ex giocatore di college che dovette abbandonare il basket giocato per dedicarsi alla nascita del figlio, divenne successivamente direttore del ‘Colorado Miners Community Outreach’ , un centro in grado di servire una delle comunità più povere dell’area metropolitana di Denver, Elyria. Valori con cui Josh è cresciuto e maturato, risultando un leader non solo all’interno ma soprattutto al di fuori del campo di gioco.

Laureato in ‘Sport Management’ con una media voti estremamente significativa tanto da essere nominato ‘WCC Male Scholar-Athlete of the Year’, è stato sempre protagonista attivo in campagne di sensibilizzazione partecipando alla costruzione di case all’interno del progetto ‘Habitat for Humanity’, visite negli ospedali per trascorrere del tempo con i veterani da guerra, ospite fisso del camp ‘Goodtimes’ al fianco dei bambini affetti da forme di cancro e tanto altro. La carriera cestistica sboccia al ‘Regis Jesuit High School’ trascinando la sua squadra a vincere il Colorado 5A State Championship a una media di 25,2 punti e 6,5 assist nell’anno da senior. Il passaggio successivo è ‘Huntington Prep’, in West Virginia, per giocare a un livello superiore e prepararsi alla scelta più importante della sua vita.

Una parabola in ascesa che cattura le attenzione di oltre venti college pronti ad offrigli rinomate borse di studio. ‘The Decision’: Numero 24 della top.100 stilata da Espn nel 2014, Perkins riduce la lista a tre opzioni (UCLA e Minnesota in lizza) e fa ricadere la scelta su Gonzaga University, annunciandolo in diretta in uno studio televisivo a Denver circondato da amici e familiari. “Josh è probabilmente una delle nostre reclute più ‘stellate’ che abbiamo avuto la fortuna di firmare. Ha un grande potenziale, è un passatore eccellente, è abbastanza atletico e abbastanza forte da entrare in penetrazione e finire al ferro. È un ragazzo per cui abbiamo grandi aspettative” le parole di coach Mark Few alla firma.

Aspettative decisamente ripagate nonostante un inizio non troppo beneagurante, anzi. Un incidente di percorso decisamente insolito per un giocatore di pallacanestro. Alla quinta partita con i Bulldogs riceve un calcio in pieno volto da un avversario che salta in maniera scomposta per tentare di stoppare il tiro: colpo durissimo, frattura della mascella e KO per i successivi cinque mesi. Un anno praticamente perso, ‘condonato’ dalla NCAA per non togliere la possibilità di completare il percorso quadriennale. “Non riuscivo a masticare e per molto tempo ho dovuto seguire una dieta senza cibo solido. Un periodo molto complesso che ho dovuto sfruttare per farmi trovare ancora più pronto mentalmente al rientro in campo”. I record stabiliti sono già stati elencati, ma è il mentore cestistico a chiarire le sue caratteristiche e obiettivi per prosieguo della carriera.

Josh cresce sotto l’ala protettiva di Chauncey Billups, conterraneo di Colorado, un campione NBA di cui non c’è bisogno di far presentazioni. “Sono stato fortunato, fin dalla terza o quarta elementare si è preso cura di me. È sempre stato lì, al mio angolo, e sono stato fortunato ad allenarmi con lui. È dal punto di vista mentale, da come pensa e da ciò che vede prima di tutti, che mi ha aperto un mondo davanti ai miei occhi”. Le storie non sono sempre a lieto fine, men che meno se si tratta di sport, pallacanestro. L’ultima partita di Perkins con Gonzaga ne è una fedele rappresentazione. Final Four 2019, finale West Regional contro Texas Tech. Josh trascina i suoi compagni alla rimonta nel finale con 16 punti e 6 assist e, dopo la tripla del -2, a pochi secondi del termine commette un’ingenuità che non si perdonerà. ‘Bonehead play’ la definiscono in America, una giocata decisiva ma nel senso negativo dovuta alla trance agonistica.

Per impedire una facile rimessa da fondo campo, tocca inavvertitamente il braccio del giocatore a gioco ancora fermo: fallo tecnico, tiri liberi e conseguente sconfitta. “Qualcosa a cui penserò sempre”. Coach Few non ha dubbi a fine partita nel difendere il suo play e le sue parole sono un messaggio forte e chiaro per gli addetti ai lavori americani e oltreoceano: “Possiamo scrivere un libro sui suoi quattro anni con noi. È stato sempre presente, come un parafulmine a gestire le emozioni e pressioni con grande lucidità nonostante la giovane età. Se andassi a chiedere ai ragazzi nello spogliatoio quale sia il miglior compagno di squadra, senza dubbio risponderebbero Josh”.

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