Borg McEnroe porta sullo schermo la leggendaria rivalità tra due dei più grandi tennisti di tutti i tempi, finiti ai lati opposti dello stesso campo per 14 volte in quattro anni (tra il 1978 e il 1981).
La calma olimpica e la freddezza di Björn Borg (Sverrir Gudnason) contro il temperamento impetuoso dell'avversario John McEnroe (Shia Labeouf); i movimenti rigidi e calibrati del giocatore svedese contro il gioco nervoso e dinamico dello statunitense, preda di frequenti attacchi d'ira ai danni degli spettatori e dell'arbitro di turno. Diventano una metafora della vita, ma anche un modo differente di concepire un percorso di formazione. La ricetta nordica di Borg è fatta di una freddezza di ghiaccio. Il vulcano e gli spiriti di McEnroe si stemperano nelle sfuriate sul campo. E nelle celebri invettive contro gli arbitri.
ROCK STAR — I tennisti erano delle rock star: Borg, McEnroe, Gerulaitis, Connors erano star planetarie. Borg è McEnroe erano l'uno l'opposto dell'altro. Biondo, glaciale, con uno gioco impostato su di un'estenuante battaglia da fondo campo ed una regolarità da cronometro svizzero per lo svedese. Capelli ricci e arruffati per il mancino americano, votato all'attacco, ed estremamente fantasioso. Quando si trovano di fronte per la prima volta, alle semifinali di Stoccolma del 1978, Borg è già il più forte del mondo.
Non solo: è uno degli atleti più popolari del pianeta, il primo iconoclasta in un ambiente da sempre uguale a se stesso. Porta i capelli lunghi legati con una fascia, indossa capi colorati e ha fatto del rovescio bimane e del top spin, quasi un’eresia, un marchio che i tennisti in erba hanno cominciato a imitare in ogni angolo del mondo. Bjorn è una rock star, ma in campo è una sfinge, sempre calmo, compassato, mai polemico.
La contrapposizione tra i due atleti non si esaurisce sul campo da tennis: le personalità opposte, gli stili diversi e l'imprevedibilità dei risultati rendono il confronto ancora più serrato e avvincente, proiettando i due campioni tra le stelle del firmamento sportivo. Fino alla finale di Wimbledon del 1980, considerata una delle partite più belle della storia del tennis.