Ogni modifica che viene effettuata sul territorio richiede condivisione e trasparenza. Vale per la toponomastica con le vie a volte, grazie a qualche evidente forzatura, dedicate a qualche parente misconosciuto e vale per ogni segno che modifica le piazze, le strade ed i vicoli della città, nel bene e nel male.
“La memoria del cuore - scriveva Marquez - elimina i cattivi ricordi e magnifica quelli buoni, e grazie a questo artificio, siamo in grado di superare il passato". Facciamo qualche passo a ritroso. In occasione del 25 aprile, 60° anniversario della Liberazione, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, conferì la Medaglia d'oro al Merito Civile, tra le altre, al Comune di Nardò (Lecce). Negli anni tra il 1943 e il 1947, Nardò, “Al fine di fornire la necessaria assistenza in favore degli ebrei liberati dai campi di sterminio, in viaggio verso il nascente Stato di Israele, dava vita, nel proprio territorio, ad un centro di esemplare efficienza.
La popolazione tutta, nel solco della tolleranza religiosa e culturale, collaborava a questa generosa azione posta in essere per alleviare le sofferenze degli esuli, e, nell'offrire strutture per consentire loro di professare liberamente la propria religione, dava prova dei più elevati sentimenti di solidarietà umana e di elette virtù civiche”. In tale prospettiva si inquadra la grande amicizia coltivata con la Città di Atlit, confluita poi nel gemellaggio.
IL CONTENITORE DI EMOZIONI CHE RACCONTA LA TRAGEDIA E LA SPERANZA. Il museo fu inaugurato nel 2009, il progetto fu realizzato dall’architetto e urbanista Luca Zevi, a cui si deve tra le altre cose, anche il museo della Shoah a Roma. La struttura architettonica creata da Zevi, senza porte e finestre, e uniforme nel grigio delle tinte, era tesa a costruire un contenitore di emozioni “che esalta le esperienze tragiche dei sopravvissuti allo sterminio, che incontrarono a Nardò nell’immediato dopoguerra un ambiente naturale ed umano, ospitale e generoso”.
Una struttura nata per coltivare il prezioso seme della memoria e contenere la narrazione ed il racconto di migliaia di ebrei che hanno condiviso l’esperienza della prigionia e successivamente dell’accoglienza e della rinascita. Il Museo della Memoria custodisce ancora oggi, i Murales realizzati da Zivi Miller e da altri profughi ebrei durante la permanenza, tra il 1943 ed il 1947, nel Campo di accoglienza di S. Maria al Bagno. E' meta di turismo scolastico e di scolaresche che vengono ad apprendere cosa accadde subito dopo l'orrore della guerra, dei campi di concentramento e delle persecuzioni razziali.
Il museo recentemente è stato oggetto di restauro. Un restauro che ha sorprendentemente modificato la facciata. Le tinte grigie sono state sostituite dal verde che fa tanto “assonanza cromatica” con il prato ma non c’azzecca nulla con il progetto originario.
Eppure la scelta del grigio non è a caso. La valenza simbolica è rilevante. “Primo Levi, ex internato di Auscwhitz, la chiamava la “zona grigia”: quell’area formata da prigionieri che garantiscono la tenuta del Lager in virtù della loro collaborazione con i nazisti, e hanno un potere sostanzialmente illimitato sulla vita degli altri internati”. E’ il colore di chi, in cambio di privilegi, non prende posizione. E sono tanti.
La cosa più divertente in tutta questa storia è che nessuno, in una cittadina di circa 31 mila abitanti, a parte chi ovviamente ha deciso consapevolmente o inconsapevolmente di cambiare la facciata, se ne sia accorto. Candidamente.
Nessuno. La Soprintendenza, a quanto pare, neanche. A me non interessa che chi ha sbagliato paghi. A me interessa che si rispetti un'idea che rappresenta un concetto che va al di là della mera apparenza. E che esprime un'idea precisa. Che non può essere cancellata.
Sono convinto che il sindaco a cui, ne sono certo, non manca la sensibilità per questi argomenti, possa condividere tale appello e ripristinare al più presto lo stato dei luoghi, riportando il museo ai suoi colori originari. Sarebbe un gesto, a mio modesto avviso, di grande intelligenza e di profonda sensibilità.
Marco Marinaci