Non ha un tetto sulla testa e vive per strada lungo la costa in un tugurio di fortuna costruito alla meno peggio. A due passi dal museo della Memoria, il simbolo dell'Accoglienza. E' il nostro Robinson Crusoe 2.0 il simbolo di una Civiltà che si dimentica del senso stesso della sua esistenza e vive nell'indifferenza. Così come del resto fanno le Istituzioni.
Oggi è il 19 novembre del 2018, le condizioni meteo non sono delle migliori e comincia a farsi sentire il freddo. La pioggia ed il vento sferzano la radura, l’acqua scende impertinente nel parco che appare in stato di abbandono lungo la costa neritina, a due passi dalla quattro colonne. L’antica torre che oggi è un ristorante con annessa discoteca, in questi giorni è deserta, fa sembrare la stagione estiva archiviata e pare assistere impotente dinanzi ai destini a volte fragili e incerti degli esseri umani.
A poca distanza dal museo della Memoria e dell’Accoglienza, il luogo simbolo in cui sono conservati i murales del profugo Zivi Miller, nella boscaglia, insiste una casetta di fortuna. Ad osservarlo di primo acchito, il riparo alla meno peggio, pare quasi venir fuori da un racconto dei fratelli Grimm, solo che nella casetta non vi è sicuramente traccia di Hansel e Gretel, mancherebbero in verità anche le briciole di pane. Anche se, a volte, chi si smarrisce non è detto che non lo faccia volontariamente e non è detto che desideri ardentemente ritornare sui suoi passi.
Bisognerebbe aggiungere che la popolare fiaba è ambientata in una foresta della Germania durante il 1600, ossia in un periodo di carestia. E oggi forse nonostante la insistente recessione la carestia pare comunque tenuta a debita distanza e scongiurata. La domenica a tavola ci portate i pasticcini, e la carne non è né razionata né una chimera.
Eppure in quella casetta esposta alle intemperie ed ai brividi del generale Inverno c’è un uomo. Si avete inteso bene. Ci vive un essere umano stabilmente. Non si tratta di un extracomunitario, e forse ha avuto non solo la sorte avversa ma anche una civiltà che spesso è così incivile da smarrire il senso stesso della sua esistenza. Così incivile da coltivare, direi con lusinghieri risultati, la disumanità dell’indifferenza.
Il nostro Robinson Crusoe 2.0 inoltre non è esattamente come il protagonista dell'omonimo romanzo (per esteso The life and strange surprising adventures of Robinson Crusoe, of York, mariner, 1719) del romanziere D. De Foe (1660 circa - 1731). Sia perché il nostro Robinson col cappellino rosso non è un marinaio che per 28 anni ha scelto di vivere solitario su un'isola deserta presso la costa del Venezuela, sia perché non ha nemmeno un servo che lo assista (Il personaggio letterario gode dei servigi di Venerdì, ingl. Friday, il buon selvaggio che egli ha salvato dai cannibali).
In comune con il personaggio di De Foe anche il nostro si è creato intorno condizioni d'esistenza tollerabili. Il nostro Robinson ha allestito il suo rifugio e ci vive in compagnia del suo cane pastore nero come la notte. Il miglior amico dell’uomo non fa solo compagnia al nostro amico, è all’occorrenza anche un buon cane da guardia. Perché “Adda passà ’a nuttata” e non si sa mai... Il nostro giovane senza tetto ha allestito una baracchetta, quasi fasciandola con una tela verde. Forse, inconsapevolmente, ha scelto il colore che consente di mimetizzarla meglio nel contesto naturalistico.
Probabilmente nella prospettiva di abitarci per un tempo che potrebbe essere più lungo del previsto. Nella città che è stata il simbolo dell’accoglienza di migliaia di profughi scampati all’olocausto, a poca distanza dalla baracca di fortuna, campeggia il monito dell’immagine di filo spinato, e di persone che hanno il cuore ricolmo di speranza e che si dirigono verso “Le Sante”, il centro di Santa Maria, la terra promessa simboleggiata sempre da una stella di David inscritta in un sole, una porta d’accesso verso una nuova vita.
Nella Città che meritò (Per quanto fatto dagli avi) la medaglia d’oro al merito civile ci si scorda di un essere umano che vive all’addiaccio. Se ne dimenticano le Istituzioni, è invisibile alla Comunità. Appare evidente di come venga a mancare il welfare per chi è ai margini. Caravaggio l’artista che più di ogni altro aveva compreso la sacralità della dimensione umana. Nel suo “La cena di Emmaus” fa riferimento al momento in cui sulla via di Emmaus (un villaggio vicino a Gerusalemme) un mendicante compare dinanzi a due discepoli di Gesù (che non sanno della sua resurrezione). Entrati in una locanda e sedutisi a tavola per rifocillarsi, i due apostoli riconoscono in quel pover’uomo Gesù quando egli benedice il pane e lo spezza. L’uomo che manifesta un bisogno è Dio. Una lezione universale di una bellezza sfolgorante.Semplice no?
La vicenda che ha dell’incredibile pare in realtà che sia giunta anche alle orecchie di chi lavora ai servizi sociali del comune, dovrebbero esserne a conoscenza anche il solerte assessore ai servizi sociali, ed anche l’operoso assessore alla Polizia Locale, che tra le sue funzioni ha proprio quella che concerne il controllo del territorio. Già perché non passi il messaggio che, dalla sera alla mattina, si possa tirar su un accampamento o un Tepee senza che vengano rilasciate le opportune, rigorose e indispensabili autorizzazioni comunali, che magari i tecnici dell'Ente finisce che se la prendono pure.
Eppure il ragazzo che ha messo su la baracca non ha proprio l’aspetto gioioso e sfaccendato del campeggiatore abusivo né l’occhio in estasi e contemplativo di chi lascia la città per la campagna o per il mare in cerca di naturalistiche evasioni.
Scriveva Primo Levi che conosceva l’Olocausto e dunque il valore inestimabile e sempre in bilico della vita umana “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per un pezzo di pane Che muore per un si o per un no. (…) Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via…”.
Ho visto un uomo che vive in condizioni inaccettabili, ho deciso di scriverlo perché abbiamo un obbligo quello di descrivere obiettivamente quello che accade intorno a noi, senza voltarci dall’altra parte. Le Istituzioni dovrebbero fare altrettanto, eppure la loro inerzia e il loro silenzio è assordante ed è un atto di una gravità estrema. Non ci si può sempre solo attendere un gesto spontaneo e nobile dagli uomini e dalle donne che mettono il loro tempo e la loro sensibilità al servizio della Caritas diocesana o delle Vincenziane, o da quegli uomini di Chiesa (Sono tanti anche questi) che lavorano in silenzio alla risoluzione dei piccoli-grandi problemi che affliggono la nostra fragile comunità di frontiera. Sono problemi che persistono perchè una politica disattenta non li risolve. E si badi bene. Non si trova una soluzione non perché non si vedano ma perché la politica, colpevolmente, volta lo sguardo dall’altra parte. Dimentica la propria missione. E mette la polvere sotto il tappeto.
Pensateci anche voi magari a tempo perso. Mentre scegliete gli ingredienti giusti per il sontuoso pranzo di Natale, o mentre siete incerti se acquistare il salmone o lo zampone, o mentre scegliete con attenzione e scrupolo il colore del cappottino da regalare a Fuffy per proteggerlo dai rigori invernali.
Marco Marinaci
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