"Proprio nel momento più difficile della sua vita democratica - scrive Rino Dell'Anna - l’Italia è costretta a subire a tutti i livelli l’onta dell’umiliazione e la perdita dell’autorevole credibilità che nel tempo si è conquistata in tutto il mondo e ciò ad opera di alcuni responsabili politici e di governo per l’uso smodato di un linguaggio scurrile e triviale tra di loro e nei confronti di esponenti della società civile".
"Per il comportamento aggressivo verso gli interlocutori, interni e internazionali, fino a esibire la mancanza di stile come un pregio anziché un affronto per sé stessi e per la carica che si ricopre, un interloquire, tipico di alcuni "padroncini" che vogliono obbedienza, con toni sprezzanti verso amici o avversari (politici e no). Indubbiamente, si può dire che lo stile "se uno non ce l’ha non se lo può dare", ma ciò non toglie che a farne le spese sono poi i cittadini e i giovani, che vedono negato nei fatti tutto ciò che gli si insegna nelle scuole e nelle università".
"C’è bisogno di un linguaggio forbito e di una nuova dignità per le Istituzioni per evitare che la politica assuma i toni della rissa e del malcostume e per scongiurare pericoli più gravi".
"Quello che da tutti è richiestoè che le Istituzioni non vengano mai usate per dividere, spezzare, la comunità con spregio o cattiveria, come fanno i demagoghi, che erano per Aristotele gli «adulatori del popolo». Già nelle prime forme di democrazia infatti i demagoghi della politica usavano frasi retoriche, formulavano promesse inconsistenti, facevano leva su sentimenti irrazionali, alimentavano la paura o l’odio nei confronti del nemico prescelto o dell’avversario politico. Si vide allora e lo si sperimenta oggi più di prima quanto la demagogia spinge il popolo a fare qualcosa contro il suo stesso interesse, a nascondere le necessità reali".
"Un modo d’essere che nonostante siano passati tanti secoli sembra riferito ai nostri giorni, agli esempi odierni di degrado e di umiliazione della vita pubblica. Il rispetto delle regole esige il rispetto delle competenze, mentre assistiamo a una lotta con la quale l’istituzione di cui si è a capo pro tempore è spesso usata come strumento di lucro politico di gruppo o di corrente".
"C’è da chiedersi, che senso ha insegnare l’Educazione civica se i primi diseducatori sono i governanti? Che senso ha invitare i giovani a questa formazione se poi l’educazione è espunta, quasi dileggiata, da chi dovrebbe esserne promotore. Non dobbiamo però essere pessimisti: il diritto ad avere istituzioni serie, oneste, vicine ai cittadini, è un diritto cui non possiamo rinunciare".