Giuseppe Spenga:"La ciclabile costa 200 mila euro a km, e dà una misura del grado di trasparenza, coinvolgimento e partecipazione di un’amministrazione nei confronti dei cittadini pari a Zero"

La pista ciclabile, un intervento auspicabile se non presentasse diverse criticità. Ha un costo enorme, un milione e 400 mila euro, circa 200 mila euro al kilometro e presenta diverse problematiche che a Nardò hanno fatto sorgere un mare di polemiche. Ecco in un intervento lucido, chiaro e coraggioso cosa sostiene a riguardo Giuseppe Spenga.

 

Prima questione: da che ho memoria delle vicende amministrative di Nardò, vale a dire dalla metà degli anni 90, si sono succeduti diversi sindaci a Palazzo Personè ed ognuno di essi ha cercato di lasciare la propria “impronta nella storia”. L’Assessorato che più di ogni altro dà questa opportunità è quello legato alle opere pubbliche. Innegabile che la Nardò-Pagani con annessa pista ciclabile, il rifacimento del basolato di gran parte del centro storico, il restyling totale delle piazze di Santa Maria al Bagno, di Santa Caterina, di Sant’Isidoro, più in piccolo della fontana multicolor di Piazza Diaz (Castello), o la nascita dell’area eventi con conseguente spostamento dell’Area Mercatale in zona 167, il recupero della Saletta, ecc. portino la firma dei sindaci e delle amministrazioni che le hanno realizzate. Sono interventi che possono piacere o no, incontrare il gusto estetico o meno dei cittadini, ma mi servivano degli esempi concreti, i primi che mi sono venuti in mente, per far breccia nelle menti un po’ rimbambite dalla retorica del “prima di noi il nulla” e del “dopo di noi la rivoluzione”.

Cominciamo col dire chiaramente che su questa terra c’era vita già abbondantemente prima dell’avvento degli attuali inquilini di Palazzo Personè e che i cantieri li abbiamo sempre avuti: li hanno aperti, li hanno chiusi e hanno prodotto risultati.

Seconda questione: oggi gran parte del dibattito politico si è spostato sul web, e se è vero come è vero che una piattaforma internet che conta 60.000 iscritti, è gestita da una Srl ed è collegata ad un partito rischia in queste ore di mettere in crisi la prassi costituzionale di una nazione ed una istituzione prestigiosa come la Presidenza della Repubblica, per decidere on line le sorti di un Paese che di cittadini ne conta 60 milioni, capirete che la situazione è diventata maledettamente seria.

Dopo queste due necessarie premesse, torniamo a parlare di casa nostra per giungere agli inizi del maggio scorso, quando attraverso un selfie ed un post su facebook si annunciava “urbi et orbi” l’apertura del cantiere per la realizzazione della pista ciclabile a Nardò.

Nessun dialogo preliminare, nessuna informativa, nessun coinvolgimento di residenti ed operatori commerciali.

Dall’oggi al domani, senza alcun preavviso, Via De Gasperi, Via XX Settembre e Corso Italia hanno visto stravolte le vite di residenti ed attività commerciali. Tra poco toccherà a Via Bonfante e Via XXV Luglio. Ancora oggi, a distanza di 5 mesi dalla posa della prima pietra, nessuno di noi è in grado di sapere quando tutto questo finirà. Io un sospetto ce l’avrei: diciamo primavera del 2021, a ridosso delle elezioni comunali? Diciamolo.

Eppure non stiamo parlando di una fontanella d’acqua potabile o di un alberello di pepe, come quello di Piazza Mazzini. La ciclabile misura circa 7 km, è larga 3 metri, occupa ettari di terreno sottratto al traffico veicolare, cancella centinaia di parcheggi, stravolge la viabilità. Sta costando 1.400.000 euro di soldi pubblici, circa 200.000 euro a kilometro, per capirci, ed ha un impatto non indifferente sulla quotidianità e sulla qualità della vita di una intera comunità in movimento. Guardate che con un milione e mezzo di euro, se ne comprano di biciclette, eh? Fatevi due conti, se si sceglie un modello economico, fa più o meno una bicicletta gratis per ogni abitante di Nardò, compresi i neonati.

Se un’opera pubblica qualifica chi la realizza e dà una misura del grado di trasparenza, coinvolgimento e ricerca della partecipazione di un’amministrazione nei confronti dei cittadini, quest’opera rappresenta di per sé il peggiore esempio da questo punto di vista. Trasparenza zero, coinvolgimento zero, partecipazione zero.

I risultati di questo modo di fare, d’altronde, sono visibili a tutti: “cantieri ovunque”, selfie ovunque, giusto per dire di stare facendo qualcosa, nel disperato tentativo di restare a galla nel mare di internet e dei post su facebook.

E dire che per molto meno avremmo potuto avere un piano traffico preliminare, anziché procedere a colpi di ordinanze postume, esperimenti traffico, sensi unici, parcheggi e divieti di sosta con piantoni in divisa h24, multe e disagi. Se ce lo avessero chiesto, avremmo potuto suggerire la individuazione di aree parking ah hoc, magari di interscambio con una ipotetica e quanto mai utile navetta che le collegasse. Avremmo potuto ottenere la riapertura degli ampi parcheggi degli istituti scolastici (classico, scientifico, scuola media, Moccia, Tecnico commerciale) per evitare di assistere all’increscioso fenomeno del parcheggio selvaggio senza limiti temporali negli orari scolastici e di ufficio. Avremmo potuto avere una bella pista ciclabile, larga non più di un metro e mezzo, con un cordolo più decoroso e senza spigoli vivi, più funzionale, meno pericolosa con quelle orrende caditoie lasciate al centro della carreggiata e meno impattante rispetto a quella attuale bruttissima autostrada nel deserto.

Avremmo potuto cominciare a ragionare su una razionalizzazione della sosta lungo la cinta muraria del centro storico e lungo le vie commerciali, che favorisse il ricambio dei parcheggi, così preziosi per il commercio in città. Avremmo potuto armonizzare l’esigenza di favorire una mobilità sostenibile e più rispettosa anche dell’ambiente con le esigenze di una cittadina che in alcuni periodi dell’anno arriva a raddoppiare le sue presenze e che stenta a capire, pur con tutta la buona volontà di questo mondo, perché (ed a beneficio di chi) è risultato prioritario creare una corsia di tre metri che parte da una stazione ferroviaria chiusa da mesi per finire nel nulla, costeggiando lo stadio, attraversando il canale Asso o Via Bonfante, non si sa per andare a finire dove. Perché, di grazia, chi fino ad oggi ha scelto di muoversi in bici, a Nardò, ha trovato per caso qualche grave impedimento a farlo, che valesse la pena di dover spendere quasi un milione e mezzo di euro?

Chi sono, al netto delle paranoie e delle ipocrisie, i veri beneficiari di queste opere?

Un’auto che è costretta a fare tre volte il giro di un isolato per trovare un parcheggio libero (facendoci retrocedere al rango dei peggiori quartieri di Bari degli anni 90) o che è costretta “a prenderla larga”, per soddisfare le mutate esigenze di viabilità con l’istituzione di sensi unici, quanto inquinamento e quanta Co2 produce in più rispetto al passato?

Ogni amministratore, ho premesso, cerca di lasciare di sé un’impronta del suo passaggio nella storia.

Fino ad oggi abbiamo visto passare (e ripassare, e poi passare e ripassare ancora) solo una Mini Cooper a benzina, usata, guidata da un fumatore incallito che di sostenibile ha ben poco. O nulla.

Giuseppe Spenga

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