In tempi di Corona Virus, il mio sogno notturno tra il sabato e la domenica, sarebbe potuto essere influenzato dagli eventi e dagli incubi dell’epidemia in atto. Avrei potuto incontrare nel mio vicolo, chessò Louis Pasteur che con fare scientifico mi avrebbe potuto rassicurare sulla relativa pericolosità di questa malattia.
Ricordandomi alcune delle sue scoperte: anomalie della fermentazione della birra (1854); fermentazione del vino e dell’aceto (1861-62); pastorizzazione (1862); alterazioni del vino di origine fungina o batterica (1863-64); malattie del baco da seta (1865-70); colera dei polli (1880); carbonchio di bovini, ovini, equini (1881); rabbia silvestre e sieroterapia e delle relative soluzioni che la scienza ha poi attivato per scongiurare e risolvere problemi epidemiologici epocali.
Invece camminando per il centro antico della città dove dormo, in piazza Salandra appena poco fuori del vicolo dove vivo, sono stato attratto dalla figura di un signore. Pelato, in magliettina, mutande e sandali, seduto sul bordo della fontana del toro, appena di fronte alla guglia dell’Immacolata. La piazza era vuota, deserta, ciò dovuto non solo all’orario, erano infatti appena le 20.30, ed appunto la cosa non mi ha sorpreso più di tanto, essendo la normalità per la città dove dormo.
Pioveva di quella pioggerellina fitta fitta, che solo qui mi sembra alle di volte di stare come nelle Highlands in pieno inverno. Ho dovuto fare uno sforzo per non credere che fosse davvero Lui quella persona, infatti agnostico mi sono avvicinato e timidamente ho chiesto: “Signore, ma è davvero lei o stanno girando un film? Ma sa che davvero assomiglia in maniera incredibile al Maestro, Pablo Picasso?”
La risposta fu quasi immediata e netta, condita da un accento inconfondibile di inflessione spagnola malagueña: “Señor no me parezco a Pablo Picasso. Yo soy Pablo Picasso!” Rimasi sconcertato: “Maestro Lei? E cosa ci fa qui a Nardò?” “Caro signore sa, lì dove vivo adesso, le voci corrono veloci come il vento e le nuvole. Mi è giunta notizia che in questa bellissima cittadina del sud della Puglia, sia stata installata la statua di un toro. Il simbolo della municipalità. Come lei forse saprà, io ho sempre nutrito una certa attenzione per il tema e per il simbolo.
Il toro mi ha sempre ispirato, trovo che racchiuda in se contemporaneamente il mistero della vita e della morte. Ed ho provato a rappresentarlo studiandone tutti gli aspetti, formali, simbolici e filosofici. E’ un figura ancestrale che accompagna la storia dell’umanità dalle sue origini primordiali. Nelle grotte di Altamira ne ho colto i primi segni ed immagini, poi ho lavorato sul tema come ho sempre fatto, cercando di sviscerarne in disegno tutto il suo potente contenuto fino a distillarne i segni scarnificandolo a volte oppure amplificandone il senso.
Il toro rimane sempre quello, ovvero il suo significante non è mai mutato nel corso di 15.000 anni. Uomini preistorici, Sumeri, Egizi, Persiani, popolazioni Mesopotamiche, Indiani, Greci, Cretesi, Ebrei, Romani, hanno dedicato parte dei loro culti a questa figura animale, caricandola di significati importanti. Il toro è visto come un simbolo di forza invincibile, di sacrificio, di altruismo. Il toro nei sogni è simbolo per eccellenza della potenza maschile nei suoi attributi di sessualità e fertilità, di forza incontenibile, di istinto puro.
Questo animale, ancor oggi non addomesticabile ed adibito alla inseminazione, nell’antichità assurgeva ad un ruolo sacro incarnando le divinità del tempo, simbolo di fermezza, giustizia, forza, ricchezza, abbondanza, fecondità. La stazza notevole, gli attributi maschili, le corna temibili, suggerivano idee di potenza creatrice primigenia, di indomabile forza, di energia compressa. Ma di queste qualità vale considerare anche l’aspetto oscuro, che mostra del toro la bestia assassina e furibonda, l’istintualità più feroce, la cupa bramosia animale, il principio di foga e di violenza primitiva che animava il Minotauro nel suo labirinto, ed Urano mentre divorava i suoi figli. Il simbolismo del toro oscilla così fra due poli significativi: abbondanza, rinnovamento, novità, realizzazione ed istinto primitivo, passione sfrenata.
Facilmente nei sogni rappresenta la sessualità e la sensualità più istintive, ma pure la voglia di sopraffare e di manifestarsi esprimendo il proprio potere personale. Così uccidere il toro, in un’ottica junghiana esprime il bisogno di “uccidere la bestia” dentro di se’, di affrancarsi dalle passioni terrene ed avvicinarsi a dimensioni razionali, spirituali, eteree. Si pensi alla Corrida: il gesto rituale dell’uccisione del toro assume un valore simbolico molto potente come uccisione delle istanze più barbare ed incontrollate nell’uomo e nel gruppo, a beneficio del controllo e del raziocinio che favoriscono la vita civilizzata.
Il toro onirico può essere espressione del complesso edipico o della energia libidica traboccante e repressa ma, per il principio maschile che incarna, può rappresentare anche l’immagine del padre, così che vederlo, affrontarlo ed ucciderlo è l’atto simbolico che ratifica il proprio bisogno di autonomia e la propria crescita, che abolisce, del padre, il dominio fisico o psicologico.” Ascoltavo inebetito il maestro Picasso raccontarmi tutte queste cose, quindi mi sorse spontanea una domanda: “Maestro e quindi lei ha fatto questo lungo viaggio fin qui per venire a vedere a confutare personalmente e cosa mi dice del toro neretino?”
“Gentile signore, se le dovessi dire di quello che vedo rappresentato qui, in questa scultura della fontana, le confermerei che mi sembra incarnare in pieno, quello che io penso di questo animale. Ossia la sua potenza è al sevizio della comunità. Il suo zoccolo batte a terra e fa zampillare acqua e vita. E’ un toro creatore di vita. Compie questo gesto in assoluta serenità, senza strepiti, senza clamore, consapevole della sua enorme potenza generatrice. E’ un toro pacifico, che non vuole sopraffare, perché appunto, in quanto consapevole della sua autorevolezza e della sua saggia forza, non ha bisogno di apparire.
Non ha bisogno di rappresentarsi per quello che non è, non ha bisogno di scalciare violentemente, di puntare furente la muleta roja, di essere proteso aggressivamente contro chi lo incontra per la prima volta e magari lo contraddice, di mostrare le appuntite corna o mulinare code, plasticamente nell’aria, di ostentare i suoi enormi attributi sessuali ed atteggiarli a simboli di potere terreno. Per questa scultura, in questa piazza fatta di stupefacente e semplice bellezza e che tanto mi ricorda la mia terra ed il suo barocco, non sto certo a giudicare delle fattezze artistiche o delle capacità di chi l’ha realizzata. Queste cose infatti passano in secondo piano davanti al senso alto del gesto.
L’arte questo deve fare. Deve raccontare un’idea, una storia, un atto, una filosofia di vita e di pensiero ed importa poco come lo faccia. Quel che conta è il messaggio che rappresenta.
Questa cittadina, è fatta di gente pacifica, semplice, laboriosa, umile che non ha bisogno di strillare per raggiungere gli obiettivi, lo fa e basta, perché arcaicamente ed ancestralmente, viene guidata dal semplice segno di questo toro ed è questo quello che ci racconta questa statua. Tant’è.
” Ero completamente rapito dalla semplicità dell’eloquenza di questo artista, il maestro aveva da poco finito di fumare una marlboro, che intanto gli avevo offerto, il fumo spariva denso nell’umido della notte, l’orologio della piazza scoccava le tre. Si alzò dal bordo della fontana e dandomi la mano mi disse: “Caro ragazzo, mi permette di chiamarla così vero? Il tempo a mia disposizione sta per scadere, devo tornare su.”
“Ancora un momento Pablo, mi permette di chiamarla così vero? Non ci siamo nemmeno presentati, io mi chiamo Gregorio. Un’ultima domanda se mi è consentito e la scultura del toro per la quale è venuto qui, l’ha vista? Cosa ne pensa?” “Un’altra statua? Perché ne hanno realizzata un’ altra? Buona notte Gregorio è stato un vero piacere conversare con lei.” “Anche per me Pablo, Buonanotte.” Il Maestro si incamminò verso l’ingresso della piazza a passo lento, fischiettando Concierto de Aranjuez.
di Gregorio Rucco