Controffensiva del sindaco Mellone sul caso delle firme falsamente autenticate nelle liste dei candidati nel 2016. Con la spregiudicatezza che gli è propria il sindaco Mellone, raccogliendo forse suggerimenti di menti raffinatissime, contrasta le accuse che lo vedono indagato rovesciando il tavolo. Davanti al giudice che lo interrogava è arrivato a dire di non avere firmato le autenticazioni delle accettazione di candidatura a consigliere comunale nelle liste della sua coalizione nel 2016.
Praticamente afferma che i moduli con le firme dei candidati, che il perito del giudice ha sancito essere false, non sono state da lui autenticate; sottintende quindi che sia stata architettata una trappola per attribuirgli un reato che non ha commesso. Porta anche a suo sostegno una perizia grafologica di parte che asserisce essere falsa la firma del Mellone sui moduli oggetto dell'indagine. Quindi, a dire del sindaco di Nardò, qualcuno ha costruito dei moduli totalmente falsi per poterlo incriminare.
Bisogna, però, considerare che i moduli al centro dell'indagine sono copie conformi di quanto era depositato nell'archivio dell'ufficio elettorale del Comune di Nardo' (poi misteriosamente rubati in un furto SENZA SCASSO) e che non possono essere stati dolosamente costruiti da ipotetici falsari complottisti. E' una semplici considerazione fattuale.
Allora se Mellone asserisce che tutto è falso (firme dei candidati e firme dell'autenticatore Mellone) bisogna dedurre che alle elezioni del 2016 la coalizione di Mellone presentò documenti falsi alla Commissione Elettorale competente.
La realtà è che Mellone punta ad alzare un polverone per far perdere tempo e puntare alla prescrizione non potendo dimostrare incontrovertibilmente la sua innocenza; tecnica, la prescrizione, che ha tanti precedenti compresa quella di qualche ex senatore parente di qualche componente del cerchio magico melloniano. E che può essere anche suggerita da potenti ex magistrati.
Al limite Mellone, con cinismo amorale, potrebbe puntare ad addossare la responsabilità dei documenti falsi ai presentatori delle liste pur di salvare la propria poltrona; come quel tizio che, accusato di arricchimenti illeciti, dichiarò al giudice che la propria moglie esercitava proficuamente la prostituzione.
Werther Messapo